IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale n. 612 del  2010,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da: Fibe S.p.a., rappresentata e difesa dagli  avv.ti  Ennio
Magri' e Benedetto Giovanni Carbone, con domicilio eletto  presso  lo
studio di quest'ultimo in Roma, via degli Scipioni, 288; 
    Contro: 
        Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,   Presidenza   del
Consiglio   dei   Ministri   -   Dipartimento   Protezione    Civile,
Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio  dei  Ministri
ex art.  1  d.l.  90/2008,  rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura
Generale  dello  Stato,  domiciliati  per  legge  in  Roma,  via  dei
Portoghesi, 12; 
        G.S.E. Gestore dei Servizi Energetici S.p.a., rappresentata e
difesa dagli  avv.ti  Carlo  Malinconico  ed  Angelo  Gigliolia,  con
domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Liberiana, 17 
    e con l'intervento di ad opponendum: 
        A2A S.p.a.  e  Partenope  Ambiente  S.p.a.,  rappresentate  e
difese dagli avv.ti Vito Salvadori di Brescia,  Gabriele  Pafundi  ed
Emanuela Romanelli, con domicilio eletto presso lo studio  di  questi
ultimi in Roma, viale Giulio Cesare, 14; 
    Per l'annullamento: 
        delle  determinazioni  tutte  della  P.C.M.  -   Dipartimento
Protezione Civile assunte in attuazione del  D.L.  n.  195  del  2009
anche se di estremi e di contenuti non conosciuti e segnatamente  del
provvedimento   di   assunzione   della    «piena    disponibilita'»,
utilizzazione e godimento del termovalorizzatore di Acerra realizzato
da Fibe S.p.A.; 
        del provvedimento di acquisizione ai sensi dell'art. 7  comma
5 del D.L. n. 195, dei ricavi derivanti dalla  cessione  dell'energia
elettrica prodotta  dall'impianto  di  Acerra,  ivi  compresi  quelli
corrisposti dal GSE a partire dal 18 giugno 2009; 
        delle risoluzioni del 7 e 11 gennaio  2009  della  Presidenza
del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Protezione Civile  a  norma
della medesima disposizione; 
        del decreto della P.C.M. con cui sono state  disciplinate,  a
norma dell'art. 8 del decreto-legge, le modalita'  per  la  presa  in
carico dell'impianto  da  parte  del  soggetto  aggiudicatario  della
procedura esperita  dalla  struttura  del  Sottosegretario  di  Stato
all'emergenza rifiuti in Campania, nonche' delle modalita' e  termini
dell'affrancamento  di  apposito  presidio  tecnico  da   parte   del
costruttore a sua spese e cura ai fini della verifica della  corretta
utilizzazione dell'impianto nelle more e  durante  le  operazioni  di
collaudo; 
        di  ogni  altro  atto  comunque   presupposto,   connesso   e
consequenziale ivi compresa la nota del 14 gennaio 2010 prot. n. 2929
della Presidenza del Consiglio  dei  Ministri  -  Dipartimento  della
Protezione Civile, 
    nonche' degli atti e delle risoluzioni  adottate,  di  estremi  e
contenuto sconosciuti ma che risultano, dalla nota  del  Dipartimento
della protezione civile prot. DPC/CG/0011936  del  16  febbraio  2010
alla V Commissione Permanente della Camera dei Deputati  ed  allegata
agli atti della  Commissione  del  17  febbraio  2010,  essere  stati
assunti per la determinazione del valore  del  termovalorizzatore  di
Acerra a norma dell'art.  6  del  d.l.  195/2009,  anche  per  quanto
attiene alla corretta  acquisizione  del  valore  indicato  dall'ENEA
nella relazione di cui alla nota dell'8 febbraio 2010; 
    nonche' per l'accertamento: 
        dell'illiceita'    o    illegittimita'     della     condotta
dell'Amministrazione    resistente    quanto    allo     spossamento,
utilizzazione  e  godimento  del  termovalorizzatore  di  Acerra   in
applicazione dell'art. 7 d.l. n. 195 del 2009 (convertito  con  legge
n. 26/2010); 
        dell'illiceita' o illegittimita' dell'appropriazione da parte
della P.C.M. - Dipartimento della Protezione Civile dei corrispettivi
devoluti dal GSE per  la  cessione  dell'energia  elettrica  prodotta
medio tempore  dall'impianto  di  termovalorizzazione  di  Acerra  di
proprieta' FIBE S.p.A. siccome stabilito dall'art. 7, comma  5,  d.l.
n. 195/2009 per contrasto dell'art. 7 nonche' degli artt. 3 e  6  con
molteplici disposizioni e principi del Trattato CE e, per il relativo
tramite, dell'art. 1 del Protocollo 1 della Convenzione di  Roma  del
1950; 
    nonche', ove possa occorrere, previa disapplicazione: 
        delle disposizioni di cui  al  citato  decreto-legge,  ovvero
proposizione di domanda di  pronuncia  pregiudiziale  alla  Corte  di
Giustizia della Comunita' Europea ai sensi dell'art. 234 del Trattato
CE ovvero, in subordine, per  l'accertamento,  previa  sottoposizione
alla  Corte  costituzionale   della   questione   di   illegittimita'
costituzionale ai sensi dell'art. 23 l. 87/1953, della  illiceita'  o
illegittimita' della condotta  delle  amministrazioni  resistenti  in
ordine  allo  spossamento,  all'utilizzazione  e  al  godimento   del
termovalorizzatore  di  Acerra,  in  applicazione  dell'art.  7  d.l.
195/2009 per contrasto dello stesso art. 7 con gli artt. 3, 41, 42  e
43 Cost., nonche' anche in relazione all'art. 3 per contrasto con gli
artt. 24 e 113 Cost.; 
    nonche' per la declaratoria: 
        del suddetto diritto  di  proprieta'  della  ricorrente,  con
l'emanazione di un provvedimento di  condanna  delle  amministrazioni
resistenti alla corresponsione degli importi  sinora  ricevuti  e  di
quelli ricevendi, a titolo di ricavi derivanti dall'energia elettrica
e con richiesta subordinata di indennizzo integrale, rapportato  alla
valutazione ENEA di 355 milioni di  euro,  cosi'  come  dalla  stessa
indicato  riferita  «al   periodo   2005-2006»   e   quale   pertanto
necessariamente   ed   opportunamente   adeguata   alla   data    del
trasferimento del bene, e comunque con richiesta del risarcimento del
danno. 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura Generale
dello Stato; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gestore  dei  Servizi
Energetici GSE S.p.a.; 
    Visto l'atto di intervento ad  opponendum  di  A2A  S.p.a.  e  di
Partenope Ambiente S.p.a.; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  24  novembre  2010  il
dott. Roberto Caponigro  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    1. La ricorrente ha esposto che la Fibe S.p.a. e la Fibe Campania
S.p.a. (recentemente fusa  per  incorporazione  nella  Fibe  S.p.a.),
all'esito di apposite procedure di gara, erano divenute  affidatarie,
in via esclusiva, del servizio di smaltimento rifiuti  nella  Regione
Campania, rispettivamente, per  la  Provincia  di  Napoli  e  le  per
Province di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno. 
    Ha soggiunto, tra l'altro, che con d.l. 245/2005,  convertito  in
l. 21/2006, e' stata disposta la risoluzione ex lege dei contratti di
affidamento, con una fase transitoria protratta  sino  al  18  giugno
2008, e che l'art. 6-bis, co. 4, 1.  123/2008  ha  previsto  il  solo
obbligo per le ex affidatarie (e nella specie la  Fibe  S.p.a.  quale
proprietaria) di completare il termovalorizzatore di Acerra,  con  la
definitiva cessazione di ogni ulteriore attivita'. 
    Ha  evidenziato  ancora  che,  in  data  13  novembre  2008,   il
Sottosegretario delegato ha  affidato  alla  Societa'  A2A  (Societa'
pubblica degli enti locali lombardi e gestore del  termovalorizzatore
di Brescia) la futura gestione del termovalorizzatore  di  proprieta'
Fibe, pervenendo alla sottoscrizione di un  contratto  in  forza  del
quale detta Societa' e' tenuta a corrispondere al Sottosegretario  la
meta' dei proventi della vendita di energia elettrica trattenendo  la
restante meta' quale corrispettivo d'impresa. 
    Ha fatto altresi' presente che il Commissariato ha stipulato  con
il Gestore dei  Servizi  Elettrici  Nazionale  un  contratto  per  la
fornitura dell'elettricita' prodotta dal termovalorizzatore di  Fibe,
per  cui,  senza  nulla   riconoscere   alla   Fibe,   sta   vendendo
l'elettricita' prodotta  dall'impianto  appropriandosi  del  relativo
ricavato. 
    La  ricorrente  ha  quindi  sottolineato  che   il   Governo   e'
intervenuto con un nuovo provvedimento legislativo d'urgenza, decreto
legge 30  dicembre  2009,  n.  195,  per  far  fronte  alla  scadenza
dell'emergenza  fissata  al  31  dicembre  2009  e  disciplinare   il
passaggio al regime ordinario della gestione rifiuti in Campania. 
    Gli artt.  6  e  7  del  decreto  riguardano  la  previsione  del
trasferimento coattivo del termovalorizzatore di  Acerra  e  la  Fibe
S.p.a., nel rilevare che non e' stato  individuato  ne'  il  soggetto
destinatario  del  trasferimento  ne'  il  termine  entro  il   quale
l'operazione deve avere luogo, ne' soprattutto la quantificazione del
corrispettivo di tale cessione, ha proposto il  ricorso  introduttivo
del presente giudizio, articolato nei seguenti motivi: 
        violazione dell'art. 1 del protocollo 1 alla  Convenzione  di
Roma del 1950 (Convenzione europea per la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo); violazione degli artt. 39,  43  e  56  del  Trattato  CE;
violazione dei principi  sanciti  dal  Trattato  CE  in  materia  del
legittimo affidamento e della certezza del diritto. 
    Per quanto riguarda la tutela del diritto di proprieta', le norme
della CEDU dovrebbero essere  applicate  immediatamente  dal  giudice
interno in ragione della  particolare  forza  precettiva  di  cui  la
Convenzione del 1950 e' dotata.  La  giurisprudenza  di  legittimita'
avrebbe  riconosciuto  la  natura  sovraordinata  alle  norme   della
Convenzione sancendo l'obbligo per  il  giudice  di  disapplicare  la
norma interna in contrasto con la norma pattizia dotata di  immediata
precettivita' nel caso concreto. 
    Pertanto,   le   amministrazioni   resistenti   non    potrebbero
legittimamente applicare gli artt. 6 e 7 del  decreto-legge  195/2009
in quanto contrastanti con norme inderogabili del trattato CE  e,  in
particolare,  non  potrebbero  assumere  la  disponibilita'   ed   il
godimento del termovalorizzatore di Acerra  con  effetto  addirittura
retroattivo, incassare i ricavi derivanti dalla  vendita  di  energia
prodotta dall'impianto ed assumere la  spettanza  di  quelli  futuri,
richiedere le garanzie propedeutiche all'affitto  ovvero  trasmettere
lo schema del contratto d'affitto. 
    Le violazioni dei diritti fondamentali tutelati dal Trattato  CE,
determinate  dagli  artt.  6  e  7   del   decreto-legge,   sarebbero
molteplici, atteso, soprattutto, che  e'  previsto  il  trasferimento
coattivo del termovalorizzatore, da decretarsi entro il  31  dicembre
2011, senza individuare ne' il soggetto  a  cui  sara'  intestato  il
trasferimento, ne' il termine dell'operazione ne' la  quantificazione
del  corrispettivo  della  cessione,  prevedendo,  nelle   more   del
trasferimento,  la  immediata  sottrazione  della  disponibilita'   e
gestione dell'impianto senza alcuna forma di corrispettivo. 
    La Corte di Strasburgo avrebbe imposto che, seppure per motivi di
pubblica  utilita',  la  privazione  autoritativa  del   diritto   di
proprieta'  deve  dar  seguito  necessariamente  ad  una  riparazione
integrale del valore del bene che forma oggetto del diritto. 
    L'esistenza di una norma che priva la Societa' di un  bene  senza
la determinazione di un corrispettivo  e  senza  riconoscere  ristori
conformi alle normali regole applicabili in casi  simili  inciderebbe
negativamente sulla valutazione che il mercato effettua  del  rischio
dell'eventuale   investimento   in   tale   Societa',    determinando
un'indebita alterazione alla libera circolazione dei capitali. 
    Nelle previsioni di cui agli artt. 6 e 7 d.l. 195/2009  sarebbero
riscontrabili violazioni ai  principi  sanciti  dal  Trattato  CE  di
tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto. 
    La  Fibe  avrebbe  anticipato  i  costi  per   la   realizzazione
dell'impianto nella prospettiva della cessione onerosa  dello  stesso
ad un prezzo determinato, mentre il decreto toglierebbe  il  possesso
del  bene  al  legittimo  proprietario  con   un   affitto   coattivo
assimilabile  alla  requisizione  di  azienda  di  militare  memoria,
prevederebbe il futuro trasferimento del bene senza la determinazione
di  alcun  valore  del  medesimo  e  confermerebbe  la  gestione   ad
un'impresa terza senza alcun corrispettivo. 
    La ricorrente ha pertanto chiesto di sottoporre alcune  questioni
pregiudiziali alla Corte di Giustizia della Comunita' Europea  e,  in
ulteriore  subordine,  di   sollevare   questione   di   legittimita'
costituzionale avendo gli artt. 6 e 7 d.l. 195/2009 natura  di  legge
provvedimento. 
    La ricorrente ha anche proposto azione di risarcimento del danno. 
    Il d.l. 195/2009 e' stato convertito in legge, con modificazioni,
dalla legge 26/2010, sicche', con motivi aggiunti, la  ricorrente  ha
esteso l'impugnazione e  le  relative  questioni  pregiudiziali  gia'
avanzate nei confronti del decreto  legge  195/2009  anche  alla  sua
versione definitiva quale risultante dalla legge di conversione. 
    Con i motivi aggiunti,  la  Fibe  ha  inteso  anche  censurare  i
provvedimenti con i quali sarebbe stata recepita, senza il necessario
adeguamento,  la  valutazione  dell'ENEA  espressamente  riferita  al
2005-2006,  in  quanto  contrastanti  con  i  principi  e  le   norme
costituzionali, e comunitarie del Trattato CE a tutela del diritto di
proprieta'. 
    Ha sostenuto che le modifiche apportate in  sede  di  conversione
aggraverebbero e pregiudicherebbero ulteriormente  la  posizione  del
proprietario e costruttore dell'impianto. In  particolare,  la  nuova
formulazione dell'art. 6 definirebbe il  valore  dell'impianto  nella
misura di € 355 milioni, valore determinato sulla base dei criteri di
uno studio ENEA 2007 ed inteso come costo di investimento  tipico  di
un  moderno  impianto  di  termovalorizzazione  riferito  al  periodo
2005-2006,  laddove  il  legislatore,  nel  determinare   il   valore
dell'impianto «alla data di entrata in vigore della  legge»,  avrebbe
dovuto quantomeno adeguare il suddetto valore all'attualita'. 
    Parimenti illegittima sarebbe la previsione secondo  cui  non  e'
prevista   alcuna   copertura   di   spesa   per    l'acquisto    del
termovalorizzatore,  rimandandosi  ad  un  successivo  ed   eventuale
trasferimento ad un soggetto  pubblico,  con  la  precisazione  della
previa individuazione, con apposito  provvedimento  normativo,  delle
risorse finanziarie necessarie. 
    In  sostanza,  la  Fibe  ha  evidenziato  che,  a   seguito   del
decreto-legge 195/2009, come modificato dalla  legge  di  conversione
246/2010, viene a trovarsi nella seguente situazione: 
        e' immediatamente privata della  disponibilita'  del  bene  e
degli  incassi  derivanti  dalla  cessione   dell'energia   elettrica
prodotta dall'impianto; 
        e' solo previsto un  futuro  acquisto  dell'impianto  con  la
determinazione di un valore ancorato dall'ENEA al periodo 2005-2006 e
non  rivalutato  alla  data  del  trasferimento  o  quantomeno  della
pubblicazione della legge e senza copertura finanziaria; 
        e' obbligata ad un affitto dell'impianto  per  quindici  anni
senza neanche poter maturare una prospettiva certa ed  effettiva  del
pagamento del canone prefissato dalla legge  e  dei  relativi  tempi,
essendo l'erogazione subordinata alla costituzione di fideiussioni  e
garanzie  ulteriori  che  rendono  impossibile  per  il   costruttore
accedere a tale ipotesi. 
    Di qui, secondo la prospettazione della ricorrente, la violazione
dei diritti inderogabili sanciti dal Trattato  CE  e  dalla  CEDU  e,
quindi, la fondatezza della richiesta di disapplicazione della  norma
e del riconoscimento del diritto  di  proprieta'  sull'impianto,  con
ogni conseguenza anche in ordine alla spettanza dei ricavi  derivanti
dalla vendita dell'energia elettrica prodotta dall'impianto stesso. 
    La ricorrente ha inoltre reiterato  la  richiesta  di  sottoporre
questione pregiudiziale  alla  Corte  di  Giustizia  della  Comunita'
Europea ai sensi dell'art. 234 del Trattato, ovvero, in subordine, di
sollevare questione di legittimita' costituzionale per contrasto  con
gli artt. 3, 24, 41, 42, 43, 97 e 113 Cost. 
    L'Avvocatura Generale dello Stato  ha  contestato  la  fondatezza
delle  censure  dedotte,  evidenziando,  in  particolare,   che   non
sussisterebbe  alcuna  violazione  del  diritto  di  proprieta'  come
stabilito dall'art. 1 del protocollo 1  della  CEDU,  atteso  che  la
ratio dello spossessamento del bene al privato e' individuabile in un
interesse superiore della comunita', e che sarebbe  stato  rispettato
il  principio  di  proporzionalita'  tra   l'interesse   generale   e
l'interesse del privato proprietario. Ha posto poi in rilievo che con
O.P.C.M.   n.   3745/2009   e'   stato   previsto   l'utilizzo    del
termovalorizzatore di Acerra ai  fini  della  produzione  di  energia
elettrica e la spettanza all'amministrazione dei proventi conseguenti
alla cessione della stessa, per cui, essendo tale ordinanza  divenuta
inoppugnabile, le relative censure sarebbero inammissibili. 
    La G.S.E. Gestore  dei  Servizi  Energetici  S.p.a.  ha  eccepito
l'inammissibilita' delle censure mosse avverso  il  provvedimento  di
acquisizione  dei  ricavi  derivanti  dalla   cessione   dell'energia
elettrica prodotta dal termovalorizzatore di Acerra  corrisposti  dal
GSE alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri  in  quanto  tale
attribuzione sarebbe stata disposta con  l'O.P.C.M.  n.  3745  del  5
marzo 2009, divenuta inoppugnabile; ha  inoltre  evidenziato  che  la
relativa convenzione  di  cessione  dell'energia  elettrica  prodotta
dall'impianto  e'  stata  stipulata  in   data   3   dicembre   2009,
antecedentemente all'entrata in vigore del decreto legge 195/2009  e,
in ogni caso, ha sostenuto l'infondatezza delle censure nel merito. 
    Le Societa' A2A e Partenope Ambiente (interamente partecipata  da
A2A per  la  gestione  degli  impianti  di  Acerra  e  Caivano)  sono
intervenute in giudizio ad opponendum,  evidenziando  di  essere  gli
unici  reali  controinteressati  ai  quali,  peraltro,   il   ricorso
introduttivo del giudizio non e' mai stato notificato, sicche'  hanno
eccepito l'inammissibilita' del ricorso; nel merito,  hanno  comunque
concluso per il rigetto del gravame. 
    Le parti hanno prodotto altre memorie e documentazione a sostegno
delle rispettive difese. 
    All'udienza pubblica del 24 novembre  2010,  la  causa  e'  stata
trattenuta per la decisione. 
    2. L'art. l, co. 1, d.l. 30 novembre 2005, n. 245, convertito  in
legge, con modificazioni, dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21, al fine
di assicurare la regolarita' del servizio di smaltimento dei  rifiuti
nella  regione  Campania,  ha  risolto  i  contratti  stipulati   dal
Commissario delegato per l'emergenza rifiuti nella  regione  Campania
con le affidatarie del servizio di  smaltimento  dei  rifiuti  solidi
urbani in regime di esclusiva nella medesima regione. 
    Lo stesso articolo, al secondo ed al settimo comma  (quest'ultimo
come modificato dall'art. 3, co. 1-bis, del d.l. 263/2006  convertito
in 1. 290/2006), nel prevedere che il Commissario  delegato  procede,
in termini di somma urgenza, all'individuazione dei nuovi  affidatari
del  servizio  sulla  base  di  procedure  accelerate   di   evidenza
comunitaria, ha previsto che, in funzione del necessario passaggio di
consegne ai nuovi affidatari del servizio, le attuali affidatarie del
servizio, fino al momento di  aggiudicazione,  del  nuovo  appalto  e
comunque entro il 31 dicembre 2007 (la fase  transitoria  si  e'  poi
protratta sino al 18 giugno 2008),  sono  tenute  ad  assicurarne  la
prosecuzione e provvedono alla gestione delle imprese ed all'utilizzo
dei beni nella loro disponibilita', nel puntuale rispetto dell'azione
di coordinamento svolta dal Commissario delegato. 
    Con decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, convertito in legge  con
modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, sono state dettate
misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel  settore  dello
smaltimento rifiuti in Campania e per le ex affidatarie e'  residuato
il solo obbligo, ai sensi dell'art. 6-bis, co. 4,  del  completamento
del termovalorizzatore di Acerra. 
    Di talche', se non sussiste dubbio che la  Fibe  sia  allo  stato
proprietaria del termovalorizzatore,  deve  pero'  rilevarsi  come  -
terminata ogni ulteriore attivita' della ricorrente nello smaltimento
dei rifiuti nella regione Campania ed essendo il  termovalorizzatore,
da un lato, evidentemente funzionale allo  smaltimento  dei  rifiuti,
dall'altro, ai sensi dell'art.  2,  co.  4,  d.l.  90/2008,  area  di
interesse strategico nazionale  -  la  gestione  dello  stesso  debba
essere assicurata dall'amministrazione pubblica  e  l'impianto  debba
essere utilizzato dal nuovo affidatario. 
    La Fibe ha proposto il presente ricorso per ottenere: 
        in via principale, la disapplicazione delle norme di cui agli
artt. 6  e  7  d.l.  195/2009,  convertito,  in  l.  121/2009,  e  la
declaratoria  di  illegittimita'  dei  provvedimenti  relativi   allo
spossessamento del bene e dei  redditi  dallo  stesso  prodotti,  con
conseguente   condanna   dell'amministrazione   al   pagamento    del
controvalore del termovalorizzatore e comunque del giusto  indennizzo
per l'indebito utilizzo dello  stesso,  nella  misura  degli  importi
sinora ricevuti o di quelli ricevendi a titolo  di  ricavi  derivanti
dall'energia elettrica prodotti; 
        in  via  subordinata,  la  proposizione  della   domanda   di
pronuncia pregiudiziale della  Corte  di  Giustizia  della  Comunita'
Europea, ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE; 
        in via di ulteriore subordine, la sottoposizione  alla  Corte
costituzionale della questione di legittimita'  costituzionale  delle
norme. 
    Le norme, peraltro, come evidenziato  dall'amministrazione  nella
nota depositata in data 18 marzo 2010, non  hanno  avuto  al  momento
concreta attuazione. 
    Ne consegue che, non essendo stati adottati  atti  amministrativi
concretamente lesivi, il gravame deve intendersi direttamente rivolto
avverso le norme contestate. 
    In altri termini, considerato che nessuna illegittimita' di  atti
amministrativi puo' essere pronunciata non essendo stati  gli  stessi
sinora adottati, il ricorso  deve  intendersi  proposto  direttamente
avverso le norme di legge ed il relativo petitum deve ritenersi,  nel
suo nucleo centrale, limitato alla richiesta  di  proposizione  della
questione pregiudiziale comunitaria o della questione di legittimita'
costituzionale. 
    In tal senso, considerate  che  le  norme  in  contestazione,  in
quanto finalizzate a disciplinare una  specifica  fattispecie,  hanno
chiaramente natura provvedimentale, il ricorso si  presenta  nel  suo
complesso, e salvo quanto si dira' infra in ordine a  taluni  profili
peculiari, senz'altro ammissibile. 
    La possibilita' che oggetto di  impugnazione  sia  una  norma  di
legge, se, di regola, va esclusa  in  radice,  nella  fattispecie  in
esame assume una caratterizzazione particolare a causa del  contenuto
e della natura provvedimentale delle norme  impugnate,  sicche'  cio'
che si presenta  formalmente  come  un'impugnazione  diretta  di  una
legge, e' in realta'  finalizzata  ad  estendere  la  cognizione  del
giudice ad una norma sopravvenuta  per  provocarne  l'intervento  nei
soli termini e limiti in cui l'ordinamento lo consente, vale  a  dire
sollevare, ricorrendone i presupposti di rilevanza  e  non  manifesta
infondatezza, la questione di legittimita' costituzionale. 
    La sindacabilita' di una previsione legislativa  che,  in  quanto
volta a  disciplinare  una  concreta  ed  individuabile  fattispecie,
assume  connotazione  sostanzialmente  provvedimentale,  puo'  essere
quindi  soggetta  all'ordinario  sindacato  giurisdizionale  al  fine
dell'eventuale rimessione alla Corte costituzionale  della  questione
di legittimita' costituzionale, che, altrimenti, non potrebbe  essere
affrontata, con conseguente assenza  di  tutela  giurisdizionale  nei
confronti di atti  normativi  concretamente  incidenti  su  posizioni
soggettive individuali e differenziate. 
    Infatti,  una  volta  riconosciuta  dalla  Corte   costituzionale
(sentenze nn. 62/1993, 63/1995 e 347/1995), in  linea  di  principio,
l'ammissibilita' della categoria di  atti  normativi  in  discorso  a
fronte dell'insussistenza di una riserva di amministrazione,  poiche'
la Costituzione non  garantisce  ai  pubblici  poteri  l'esclusivita'
delle pertinenti attribuzioni gestorie, e dell'inconfigurabilita' per
il legislatore di limiti diversi da  quelli  formali  dell'osservanza
del  procedimento  di  formazione  della   legge,   atteso   che   la
Costituzione omette di prescrivere  il  contenuto  sostanziale  ed  i
caratteri  essenziali  dei   precetti   legislativi,   la   questione
principale attiene alla configurazione del sistema delle garanzie  di
tutela giurisdizionale a fronte di tale categoria di atti normativi. 
    In particolare, la Corte costituzionale, con sentenza n. 62/1993,
ha avuto modo di affermare che i diritti di difesa del cittadino,  in
caso di approvazione con legge di un atto amministrativo  lesivo  dei
suoi interessi, non vengono sacrificati, ma si trasferiscono, secondo
il regime di controllo  proprio  del  provvedimento  normativo  medio
tempore  intervenuto,   dalla   giurisdizione   amministrativa   alla
giustizia costituzionale, con la conseguenza che  la  legge,  sebbene
abbia  contenuto  di  provvedimento   amministrativo,   puo'   essere
sindacata,   previa   intermediazione   del    giudice    rimettente,
esclusivamente   dal   suo   giudice   naturale,   ossia   la   Corte
costituzionale. 
    Peraltro, questo Tribunale ha gia' avuto modo di precisare che il
giudice adito e' tenuto ad esprimere la valutazione  in  ordine  alla
non   manifesta   infondatezza   della   questione,   mentre   assume
connotazione decisamente depotenziata la valutazione in  ordine  alla
rilevanza della questione  in  quanto  essa,  in  presenza  di  leggi
provvedimento altrimenti insindacabili dal giudice  di  legittimita',
e' intrinseca nell'esclusiva attribuzione alla  Corte  costituzionale
dello scrutinio di legittimita' della norma  formalmente  legislativa
ma sostanzialmente amministrativa (T.A.R. Lazio, Roma, I, 20 febbraio
2009, n. 1797; T.A.R. Lazio, Roma, I, 21 aprile 2008, n. 3356). 
    La rilevanza della questione di legittimita'  costituzionale,  in
altri termini, e' normalmente apprezzabile in re  ipsa,  atteso  che,
diversamente, sussisterebbe un vuoto  di  tutela  configgente  con  i
principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 113 Cost. 
    3. Il gravame proposto si rivela inammissibile nella parte in cui
la Fibe contesta la mancata attribuzione dei ricavi  derivanti  dalla
cessione dell'energia elettrica  prodotta  dall'impianto  di  Acerra,
atteso  che,  in  relazione  a   tale   aspetto,   il   provvedimento
concretamente  lesivo  della  sfera  giuridica  della  ricorrente  e'
costituito dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 5
marzo 2009, n. 3745, il cui art. 1, co. 6, prevede che, per  le  fasi
di avviamento e di esercizio provvisorio  del  termovalorizzatore  di
Acerra, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri  di  cui  all'art.   1   d.l.   90/2008,   convertito,   con
modificazioni, dalla l. 123/2008, ed il Gestore dei Servizi Elettrici
(GSE), sottoscrivono, entro il 30 marzo  2009,  apposita  convenzione
preliminare al fine di regolare la  cessione  dell'energia  elettrica
prodotta  dal  termovalorizzatore,  e   prevedente,   specificamente,
l'attribuzione delle risorse conseguenti alla cessione della quota di
energia prodotta a favore del  Fondo  di  protezione  civile  per  il
successivo impiego per le esigenze connesse all'emergenza rifiuti  in
Campania. 
    Tale  ordinanza  non  e'   stata   impugnata   ed   e',   quindi,
inoppugnabile, e, anche ove si volesse ritenere che, con il  presente
ricorso, la ricorrente abbia voluto gravare specificamente tale atto,
la relativa impugnazione sarebbe tardiva in quanto  l'OPCM  e'  stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2009 - data  da
cui decorre il termine decadenziale  di  sessanta  giorni,  all'epoca
stabilito dall'art. 21 l. 1034/1971, atteso che l'art. 5, co.  6,  1.
225/1992 prevede la  pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale  delle
ordinanze emanate ai sensi dello stesso articolo - mentre il  ricorso
e' stato notificato nel gennaio 2010. 
    Ne' puo' essere  rilevata  la  nullita'  dell'ordinanza  ex  art.
21-septies 1. 241/1990 in quanto, se e'  vero  che  il  provvedimento
dispone dei  frutti  di  un  bene  di  proprieta'  di  un  terzo,  e'
altrettanto vero che  la  gestione  di  quel  bene  spetta,  come  in
precedenza evidenziato,  all'amministrazione  pubblica,  sicche'  non
puo' ritenersi che l'emanazione di quell'atto sfugga in  radice  alle
attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 
    D'altra parte, l'ordinanza presidenziale n. 3745 del 5 marzo 2009
e' stata adottata ex art. 5, co. 2 e 3, 1. 225/1992 - secondo cui, ai
sensi  del  secondo  comma,  per  l'attuazione  degli  interventi  di
emergenza conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza, si
provvede anche a mezzo di ordinanze in deroga  ad  ogni  disposizione
vigente,  e  nel  rispetto  dei  principi  generali  dell'ordinamento
giuridico, e, ai sensi del terzo comma, il Presidente  del  Consiglio
dei Ministri puo' emanare altresi' ordinanze finalizzate  ad  evitare
situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose - per  cui
il  provvedimento  impugnato  sarebbe  potuto  essere   eventualmente
illegittimo ma non puo' certo dirsi adottato in carenza  assoluta  di
attribuzione. 
    Inoltre, la convenzione tra GSE e il Sottosegretario di Stato per
l'emergenza rifiuti in Campania,  in  esecuzione  della  citata  OPCM
3745/2009, e' stata stipulata in data 3 dicembre 2009 con  decorrenza
1 gennaio 2010 e scadenza al 31 dicembre 2017. 
    In conclusione, con specifico riferimento all'art. 7, co. 5, d.l.
195/2009, convertito in legge, con modificazioni, dalla  1.  26/2010,
in ragione del quale «al Dipartimento della protezione civile,  oltre
alla piena disponibilita', utilizzazione e  godimento  dell'impianto,
spettano altresi'  i  ricavi  derivanti  dalla  vendita  dell'energia
elettrica  prodotta   dall'impianto,   ai   fini   della   successiva
destinazione sulle contabilita' speciali di cui all'art. 2, comma 2»,
il ricorso e' inammissibile per carenza di interesse in quanto, anche
ove la  norma  fosse  dichiarata  costituzionalmente  illegittima,  i
ricavi della vendita dell'energia  elettrica  prodotti  dall'impianto
spetterebbero   all'amministrazione   statale   per    effetto    dei
provvedimenti amministrativi antecedenti; in sostanza,  la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 7, co. 5, d.l. 195/2009  non
assume rilievo ai fini della presente controversia. 
    4. Le norme di legge provvedimento in  relazione  alle  quali  e'
ammissibile il ricorso sono di conseguenza individuabili negli  artt.
6 e 7, co. 1, 2, 3, 4 e 6, d.l. 30 dicembre 2009, n. 195,  convertito
in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 26. 
    L'art. 6  dispone  che  «ai  fini  dell'accertamento  del  valore
dell'impianto di termovalorizzazione di Acerra per  il  trasferimento
in proprieta', all'atto del trasferimento e' riconosciuto al soggetto
gia'  concessionario  del   servizio   di   smaltimento   rifiuti   -
proprietario dell'impianto un importo onnicomprensivo da determinarsi
sulla base dei criteri stabiliti  dallo  studio  ENEA  2007  "Aspetti
economici del recupero energetico da rifiuti urbani", con riferimento
al parametro operativo del carico termico di progetto  dell'impianto.
Il valore dell'impianto alla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto da riconoscere ai sensi del presente
articolo al soggetto gia' concessionario del servizio di  smaltimento
dei rifiuti  -  proprietario  dell'impianto  e'  determinato  in  355
milioni di euro». 
    L'art. 7, co. 1, 2, 3, 4 e 6, prevede che: 
    1. Entro il 31 dicembre  2011  con  decreto  del  Presidente  del
Consiglio   dei   Ministri   e'   trasferita   la   proprieta'    del
termovalorizzatore di Acerra alla regione Campania, previa intesa con
la Regione stessa, o ad altro ente pubblico anche  non  territoriale,
ovvero alla Presidenza del  Consiglio  dei  Ministri  -  Dipartimento
della protezione civile o a soggetto privato. 
    2. L'eventuale trasferimento a uno dei soggetti pubblici  di  cui
al comma 1 potra' avvenire solo previa individuazione,  con  apposito
provvedimento  normativa,  delle   risorse   finanziarie   necessarie
all'acquisizione dell'impianto, anche  a  valere  sulle  risorse  del
Fondo aree sottoutilizzate, per la quota nazionale o regionale. 
    3.  Al  soggetto   proprietario   dell'impianto,   all'atto   del
trasferimento definitivo della proprieta' ai sensi del  comma  i,  e'
riconosciuto un importo onnicomprensivo pari al valore  stabilito  ai
sensi dell'art. 6, ridotto del  canone  di  affitto  corrisposto  nei
dodici  mesi  antecedenti  all'atto  di  trasferimento,  delle  somme
comunque anticipate, anche ai sensi dell'art. 12 del decreto-legge n.
90 del 2008, nonche' delle somme relative agli interventi  effettuati
sull'impianto,  funzionali  al  conseguimento  degli   obiettivi   di
costante ed ininterrotto esercizio  del  termovalorizzatore  sino  al
trasferimento della proprieta'. 
    4. A decorrere dal 1° gennaio 2010, nelle more del  trasferimento
della  proprieta',  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri   -
Dipartimento   della   protezione   civile    mantiene    la    piena
disponibilita',  utilizzazione  e  godimento  dell'impianto   ed   e'
autorizzata a stipulare  un  contratto  per  l'affitto  dell'impianto
stesso, per una durata fino a  quindici  anni.  La  stipulazione  del
contratto di affitto e'  subordinata  alla  prestazione  di  espressa
fideiussione regolata dagli articoli 1936,  e  seguenti,  del  codice
civile, da parte della societa' a capo del gruppo cui  appartiene  il
proprietario del termovalorizzatore con la quale si garantisce,  fino
al  trasferimento  della  proprieta'  dell'impianto,  il  debito  che
l'affittante ha  nei  confronti  del  Dipartimento  della  protezione
civile per le somme erogate allo stesso proprietario di cui al  comma
3. La fideiussione deve  contenere,  espressamente,  la  rinuncia  da
parte del fideiussore al beneficio di escussione. In deroga  all'art.
1957 del codice civile non si verifica, in alcun caso, decadenza  del
diritto del creditore. 
    6. Il canone di affitto e' stabilito in euro  2.500.000  mensili.
Il contratto di affitto si risolve automaticamente  per  effetto  del
trasferimento della proprieta' di cui al comma l. All'onere derivante
dall'attuazione del presente comma, pari a 30 milioni di  euro  annui
per quindici anni a decorrere dall'anno 2010, si fa fronte  ai  sensi
dell'art. 18. 
    Il tenore delle norme non lascia alcun dubbio sulla  loro  natura
provvedimentale in  quanto  disciplinano  compiutamente  una  singola
fattispecie concretamente individuata, vale a dire  il  trasferimento
di proprieta' del termovalorizzatore di Acerra, di  proprieta'  Fibe,
ad un soggetto pubblico o privato nonche' le vicende ad esso relative
nelle more del perfezionamento dello stesso. 
    La Corte costituzionale ha piu' volte  ribadito  che  alla  legge
ordinaria non e' preclusa la possibilita' di attrarre  propria  sfera
di   disciplina   materie    normalmente    affidate    all'Autorita'
amministrativa, non sussistendo un divieto di  adozione  di  leggi  a
contenuto particolare e concreto. 
    Tuttavia, tali leggi  sono  ammissibili  entro  limiti  non  solo
specifici ma anche generali, quale quello del rispetto  dei  principi
di ragionevolezza e di non arbitrarieta'  (Corte  cost.,  sentenze  4
maggio 2009, n. 137, 2 aprile 2009, n. 94, 13 luglio 2007, n. 267). 
    Le  leggi  provvedimento,  quindi,  devono  essere  valutate   in
relazione  al  loro  specifico  contenuto  e  sono  soggette  ad  uno
scrutinio  rigoroso  di  costituzionalita'  essenzialmente  sotto   i
profili della non arbitrarieta' e della  non  irragionevolezza  della
scelta del legislatore. 
    Nel caso di specie vengono in  particolare  rilievo  le  norme  a
tutela  del  diritto  di  proprieta'  previste  dalla  CEDU  e  dalla
Costituzione. 
    L'art.  1  del  primo  protocollo   alla   Convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
volto alla protezione della proprieta', stabilisce che «ogni  persona
fisica o giuridica ha diritto  al  rispetto  dei  suoi  beni»  e  che
«nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa di
pubblica utilita' e nelle  condizioni  previste  dalla  legge  e  dai
principi generali del diritto internazionale». 
    L'art. 42 Cost., dopo aver previsto che «la proprieta' privata e'
riconosciuta e garantita dalla legge, che  ne  determina  i  modi  di
acquisto, di godimento e  i  limiti  allo  scopo  di  assicurarne  la
funzione sociale e di renderla accessibile a tutti», indica al  terzo
comma che «puo' essere, nei  casi  preveduti  dalla  legge,  e  salvo
indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale». 
    La  Corte  di  Strasburgo  ha  riconosciuto  la  legittimita'  di
restrizioni, anche ampie, alla  proprieta'  finalizzate  a  scopi  di
«giustizia sociale» discrezionalmente fissati dagli Stati membri. 
    Le  limitazioni  al  diritto  di  proprieta',   sia   in   ambito
comunitario che costituzionale, sono ritenute legittime  in  presenza
di un interesse generale da perseguire, per cui la questione centrale
riposa nel bilanciamento tra valori costituzionali in conflitto, vale
a dire  che  deve  sussistere  un  rapporto  di  proporzionalita'  ed
adeguatezza tra il fine, costituito dal perseguimento  dell'interesse
collettivo,  ed  il  mezzo,  costituito   dalla   restrizione   della
proprieta' privata. 
    In altri termini, la limitazione del diritto di  proprieta'  deve
ritenersi in linea con i parametri internazionali e nazionali ove  il
sacrificio imposto non risulti eccessivo  per  la  realizzazione  del
fine   individuato,   atteso   che   altrimenti   sussisterebbe   una
sproporzione destinata a riflettersi come vizio di legittimita' della
norma provvedimentale che ha stabilito la privazione  o  comunque  la
conformazione della proprieta'. 
    In particolare, la giurisprudenza CEDU non sembra ammettere,  per
gli ordinari interventi  espropriativi,  altro  criterio  di  calcolo
degli indennizzi che non sia quello del valore di mercato,  lasciando
intendere che ogni sacrificio economico ulteriore farebbe gravare sul
singolo  espropriato  un   onere   che   invece   dovrebbe   gravare,
verosimilmente   attraverso   lo   strumento   fiscale,   sull'intera
collettivita'. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Grande Camera,
sentenza 29 marzo 2006 (causa Scordino c.  Italia),  ha  riconosciuto
l'ampio  margine  di  discrezionalita'  degli   Stati   parti   della
Convenzione,  conferito  dall'art.  1  del  protocollo  n.  1,  nella
valutazione dei mezzi per raggiungere il  giusto  equilibrio  tra  il
diritto del privato al rispetto dei propri beni e  l'obiettivo  dello
Stato di realizzare fini di utilita' sociale,  rilevando  pero'  come
spetti alla Corte stessa il potere di controllare  la  compatibilita'
della soluzione data in concreto dagli Stati alle fattispecie ad essa
sottoposte. 
    Tale compatibilita', ad avviso della CEDU, deve  essere  valutata
alla  luce  della  possibilita'  di  distinguere  due  tipologie   di
obiettivi di utilita' sociale a cui  possono  essere  preordinate  le
espropriazioni e cioe', da un lato, obiettivi di riforma economico  o
sociale  o  di  mutamento  del   contesto   politico   istituzionale,
dall'altro, obiettivi di utilita' sociale che non si  inseriscono  in
una prospettiva di ampia  riforma  e  che  si  realizzano  attraverso
«espropriazioni isolate»; per la prima categoria di espropriazioni e'
compatibile con la  Convenzione  un'indennita'  inferiore  al  valore
venale  del  bene,  mentre  per  la  seconda  non   e'   giustificata
un'indennita' inferiore a tale valore. 
    In una fattispecie ancora piu'  recente,  la  Corte  Europea  dei
Diritti dell'Uomo, Seconda Sezione, sentenza 10  giugno  2008  (causa
Bortesi ed altri  c.  Italia),  ha  ribadito  che  in  numerosi  casi
espropriazione legittima solo una compensazione integrale puo' essere
considerata  ragionevolmente  in  relazione  al  valore   del   bene,
specificando tuttavia che tale norma non e' senza eccezioni dato  che
gli obiettivi  legittimi  di  pubblica  utilita',  quali  quelli  che
perseguono le misure di riforma economica  o  di  giustizia  sociale,
possono  militare  per  un  rimborso  inferiore   al   pieno   valore
mercantile. 
    La Corte Europea, in  definitiva,  ha  fatto  presente  che  deve
sussistere  un  giusto  equilibrio  tra  le  esigenze   riconducibili
all'interesse generale e la salvaguardia del diritto al rispetto  dei
beni (cfr. Seconda Sezione, sentenza 22 luglio 2008, causa Koktepe c.
Turchia). 
    La Corte costituzionale, con la sentenza n. 348  del  24  ottobre
2007, ha in primo luogo chiarito  che  le  norme  comunitarie  devono
avere piena efficacia obbligatoria e diretta  applicazione  in  tutti
gli Stati membri,  senza  la  necessita'  di  leggi  di  ricezione  e
adattamento, in modo da entrare ovunque contemporaneamente in  vigore
e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i
destinatari ed ha evidenziato che  il  fondamento  costituzionale  di
tale efficacia diretta e' stato individuato nell'art. 11 Cost., nella
parte in  cui  consente  le  limitazioni  alla  sovranita'  nazionale
necessarie per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali
rivolte ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni. 
    Ha altresi' ribadito che la distinzione tra norme  CEDU  e  norme
comunitarie consiste nel fatto che le prime,  pur  rivestendo  grande
rilevanza, in quanto tutelano e valorizzano i diritti e  le  liberta'
fondamentali delle persone,  sono  pur  sempre  norme  internazionali
pattizie, che vincolano lo Stato, ma non  producono  effetti  diretti
nell'ordinamento interno. 
    Il supremo giudice delle leggi ha in  proposito  evidenziato  che
l'art. 117, co. 1, Cost.,  nel  testo  introdotto  nel  2001  con  la
riforma del titolo V  della  parte  seconda  della  Costituzione,  ha
confermato  tale  orientamento  giurisprudenziale,   distinguendo   i
vincoli   derivanti   dall'ordinamento    comunitario    da    quelli
riconducibili agli  obblighi  internazionali,  distinzione  non  solo
terminologica, ma  anche  sostanziale.  Con  l'adesione  ai  Trattati
comunitari,  infatti,  l'Italia  e'  entrata  a  far  parte   di   un
ordinamento piu' ampio, di natura sovranazionale, cedendo parte della
sua sovranita', anche in riferimento  al  potere  legislativo,  nelle
materie  oggetto  dei   Trattati   stessi,   con   il   solo   limite
dell'intangibilita' dei principi e dei diritti fondamentali garantiti
dalla Costituzione, mentre la Convenzione EDU non crea un ordinamento
giuridico  sovranazionale  e  non  produce,  di  conseguenza,   norme
direttamente   applicabili   negli    Stati    contraenti,    essendo
configurabile come un trattato internazionale  multilaterale  da  cui
derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma  non  l'incorporazione
dell'ordinamento giuridico nazionale in un  sistema  piu'  vasto.  Le
norme   patrizie,   ancorche'   generali,   contenute   in   trattati
internazionali bilaterali  o  multilaterali,  quindi,  esulano  dalla
portata normativa dell'art. 10 Cost. e di questa categoria  fa  parte
la CEDU, con la conseguente impossibilita' di  assumere  le  relative
norme quali parametri di giudizio di legittimita'  costituzionale  di
per se' sole, ovvero come norme interposte ex art. 10 Cost. 
    Con la citata sentenza n. 348/2007, la  Corte  costituzionale  ha
ritenuto  fondata  la  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 5-bis d.l. 333/1992, convertito con modificazioni dalla  1.
359/1992, sollevata con riferimento all'art. 117, co. 1, Cost. -  che
condiziona l'esercizio della potesta' legislativa dello Stato e delle
Regioni al  rispetto  degli  obblighi  internazionali,  tra  i  quali
indubbiamente rientrano quelli derivanti dalla Convenzione Europea  -
ed incentrata sul contrasto tra la norma censurata  e  l'art.  1  del
primo protocollo della CEDU, quale interpretato dalla  Corte  Europea
per  i  Diritti  dell'Uomo,  in  quanto  i  criteri  di  calcolo  per
determinare l'indennizzo dovuto ai proprietari  di  aree  edificabili
espropriate per  motivi  di  pubblico  interesse  condurrebbero  alla
corresponsione di somme non congruamente proporzionate al valore  dei
beni oggetto di ablazione. 
    Il nuovo testo dell'art. 117 Cost., ha sottolineato la  Consulta,
se da una parte rende inconfutabile la maggiore forza  di  resistenza
delle norme CEDU rispetto a leggi  ordinarie  successive,  dall'altra
attrae le stesse nella sfera di competenza della Corte costituzionale
poiche' gli eventuali contrasti non generano problemi di  successione
delle leggi nel tempo o  valutazioni  sulla  rispettiva  collocazione
gerarchica delle norme in contrasto,  ma  questioni  di  legittimita'
costituzionale; in altri termini, il giudice comune non ha il  potere
di disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in  contrasto
con una norma CEDU, atteso che l'asserita incompatibilita' tra le due
si presenta come una questione di  legittimita'  costituzionale,  per
eventuale violazione  dell'art.  117,  co.  1,  Cost.,  di  esclusiva
competenza del giudice delle leggi. 
    La verifica  di  compatibilita'  costituzionale,  peraltro,  deve
riguardare la norma come  prodotto  dell'interpretazione  data  dalla
Corte Europea e la Consulta ha fatto presente che, in  esito  ad  una
lunga  evoluzione  giurisprudenziale,  la  Grande  Chambre,  con   la
decisione del 29 marzo 2006, nella causa Scordino contro Italia, gia'
richiamata nella presente ordinanza, e' pervenuta alla fissazione  di
alcuni principi generali,  sulla  cui  base  -  e  rilevato  che  non
sussistono  profili  di  incompatibilita'  tra  l'art.  1  del  primo
protocollo della CEDU, quale interpretato dalla Corte di  Strasburgo,
e l'ordinamento costituzionale italiano, con particolare  riferimento
all'art. 42  Cost.  -  ha  dichiarato  l'illegittimita'  della  Corte
costituzionale  dell'art.  5-bis,  co.  1  e  2,  d.l.  333/1992   in
riferimento all'art. 117, co. 1, Cost. 
    Di talche', l'art. 2, co. 89, l. 244/2007 (legge finanziaria  per
il 2008) ha sostituito l'art. 37, co. l, d.P.R.  327/2001  prevedendo
che  l'indennita'  di  espropriazione  di  un'area   edificabile   e'
determinata nella misura pari al valore venale del bene e che, quando
l'espropriazione e' finalizzata  ad  attuare  interventi  di  riforma
economico-sociale, l'indennita' e' ridotta del 25%. 
    Con sentenza n. 349 del 24 ottobre 2007, la Corte  costituzionale
ha inoltre concluso che  l'art.  5-bis,  co.  7-bis,  d.l.  333/1992,
convertito,  con  modificazioni,  dalla   l.   359/1992,   introdotto
dall'art. 3, co. 65, l. 662/1996, non prevedendo un ristoro integrale
del danno subito per effetto dell'occupazione  acquisitiva  da  parte
della pubblica amministrazione, corrispondente al valore  di  mercato
del bene occupato, e' in  contrasto  con  gli  obblighi  interruzioni
sanciti dall'art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU e  per  cio'
stesso viola l'art. 117, co. 1, della Costituzione. 
    Nella  fattispecie  in  esame,  la  questione   di   legittimita'
costituzionale - ad esclusione della norma di cui all'art. 7, co.  5,
d.l. 195/2009 che,  anche  ove  fosse  espunta  dall'ordinamento  non
produrrebbe un beneficio per la ricorrente la cui sfera giuridica  e'
stata incisa da atti amministrativi precedenti ormai inoppugnabili  -
si presenta  ontologicamente  rilevante,  venendo  in  rilievo  norme
provvedimento direttamente  incidenti  sulla  sfera  giuridica  della
ricorrente. 
    Il Collegio ritiene che la questione si  presenti  manifestamente
infondata con riferimento all'art. 7, co. 4 e  6,  d.l.  195/2009  in
quanto, da un  lato,  il  mantenimento  della  piena  disponibilita',
utilizzazione e godimento dell'impianto da parte della Presidenza del
Consiglio dei Ministri -  Dipartimento  della  protezione  civile  e'
intrinsecamente connessa alla qualificazione del sito  come  area  di
interesse strategico nazionale ed  e'  strettamente  funzionale  alla
necessita' che  l'impianto  sia  utilizzato  per  fini  di  interesse
generale, dall'altro, la stipulazione del  contratto  d'affitto,  sia
pure subordinata alla prestazione di espressa  fideiussione  fino  al
trasferimento di proprieta' dell'impianto, prevede un canone  mensile
di euro 2.500.000, il quale, rapportato al valore dell'impianto  come
determinato sulla base dello studio ENEA, quand'anche tale studio non
fosse, attualizzato al 2010, non appare in alcun modo inadeguato. 
    Diversamente, con riferimento agli artt. 6 e 7, co.  1,  2  e  3,
d.l. 195/2009, convertito, con modificazioni, dalla  1.  26/2010,  la
questione,  oltre  che  rilevante,  non  si  presenta  manifestamente
infondata in riferimento all'art. 117, co. 1,  Cost.,  in  quanto  le
norme non prevedono un indennizzo commisurato al  valore  venale  del
bene al  momento  del  trasferimento,  e,  pur  in  presenza  di  uno
spossessamento immediato del bene, lasciano margini di incertezza sia
sull'an sia sul quando del trasferimento di  proprieta',  sicche'  le
norme de quibus  potrebbero  porsi  in  contrasto  con  gli  obblighi
internazionali sanciti dall'art. 1 del protocollo addizionale CEDU. 
    Per quanto attiene all'importo onnicomprensivo da riconoscere  al
proprietario  dell'impianto,  gia'  concessionario  del  servizio  di
smaltimento dei rifiuti, l'art. 6 del d.l.  195/2009  indica  che  il
valore dell'impianto alla data di entrata in vigore  della  legge  di
conversione del decreto (28 febbraio  2010)  e'  determinato  in  355
milioni di euro sulla base dei criteri stabiliti  dallo  studio  ENEA
2007 «Aspetti economici del recupero energetico da rifiuti urbani». 
    Il Collegio rileva in primo luogo che, sebbene  la  norma  faccia
riferimento al valore dell'impianto alla data di  entrata  in  vigore
della legge di conversione del d.l. 195/2009,  le  conclusioni  dello
studio  condotto  dall'ENEA  per  la  «valorizzazione  del  costo  di
investimento del termovalorizzatore di Acerra» indicano un valore  di
355 milioni di euro, «inteso come costo di investimento tipico di  un
moderno  impianto  di   termovalorizzazione   riferito   al   periodo
2005-2006», sicche' appare verosimile ritenere che detto  valore  non
sia riferito all'inizio del 2010. 
    Non solo, ma, ai sensi dell'art.  7,  co.  3,  l'importo  di  355
milioni di euro deve essere  ridotto,  tra  l'altro,  del  canone  di
affitto  corrisposto  nei  dodici  mesi   antecedenti   all'atto   di
trasferimento. 
    Inoltre, il momento in  cui  sorge  il  diritto  di  credito  del
proprietario  «espropriando»  non  e'  certo  compreso  nel  mese  di
febbraio 2010, ma e' futuro ed incerto. 
    Infatti, ai sensi dell'art. 7, co. 1 e 2, l'atto di trasferimento
della proprieta' e' adottato entro il 31 dicembre 2011 e, in caso  di
trasferimento ad un soggetto pubblico,  solo  previa  individuazione,
con  apposito  provvedimento  normativo,  delle  risorse  finanziarie
necessarie all'acquisizione  dell'impianto,  per  cui  non  solo  non
risulta  individuato  ne'  il  soggetto  che  dovra'   acquisire   la
proprieta' del bene, che potra' essere un soggetto pubblico  (Regione
Campania, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento  della
protezione civile o altro ente pubblico) o un soggetto  privato,  ne'
il momento in cui il trasferimento della proprieta'  dovra'  avvenire
(essendo fissato il solo, dies ad quem al 31 dicembre 2011),  ma,  in
special modo, non vi e' alcuna certezza che  il  trasferimento  della
proprieta' abbia effettivamente luogo, atteso che, in assenza  di  un
provvedimento  normativo  che  individui   le   risorse   finanziarie
necessarie all'acquisizione dell'impianto e di un acquirente privato,
il passaggio  della  proprieta'  del  termovalorizzatore,  quantomeno
entro la data fissata del 31 dicembre 2011, non potra'  evidentemente
avvenire. 
    Cosi' delineato  il  quadro  normativo,  se  non  sussiste  alcun
dubbio, potendo anzi costituirne un esempio  paradigmatico,  che  nel
caso di specie la deprivazione del diritto di proprieta' si  presenta
funzionale alla realizzazione  di  un  essenziale  fine  di  utilita'
sociale, sicche' la stessa e' senz'altro ammissibile  e,  sotto  tale
profilo, le norme di legge  devono  ritenersi  certamente  legittime,
occorre pero' rilevare che tali obiettivi di utilita' sociale non  si
inseriscono in una prospettiva di riforma economica  o  di  giustizia
sociale rappresentando piuttosto una  «espropriazione  isolata»,  per
cui, secondo la  giurisprudenza  della  Corte  Europea,  non  sarebbe
compatibile con la tutela della proprieta' sancita  dall'art.  1  del
primo protocollo la previsione di un'indennita' inferiore  al  valore
venale del bene. 
    Nell'ipotesi  di  «espropriazione  isolata»,  infatti,   pur   se
disposta a fini di evidente utilita' sociale,  solo  una  riparazione
integrale puo' essere considerata  in  rapporto  ragionevole  con  il
valore del bene. 
    La compensazione accordata alla ricorrente dalle norme  di  legge
in  discorso,  pertanto,  potrebbe  rivelarsi  non  adeguata,  mentre
l'onere   imposto,   anche   e    soprattutto    in    considerazione
dell'incertezza sull'an e sul quando  del  passaggio  di  proprieta',
potrebbe rivelarsi sproporzionato ed eccessivo incidendo sul  «giusto
equilibrio»  che  deve  sussistere  tra  le  esigenze   riconducibili
all'interesse generale e la salvaguardia del diritto al rispetto  dei
beni. 
    Sulla base di tali considerazioni, il Collegio  ritiene  che  sia
rilevante e non manifestamente infondata, per  contrasto  con  l'art.
117, co. 1, Cost., in relazione all'art. l del primo Protocollo della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta'  fondamentali   (CEDU),   la   questione   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 6 e 7, co. 1, 2 e 3, del decreto-legge  30
dicembre 2009, n. 195, convertito in legge, con modificazioni,  dalla
legge 26 febbraio 2010, n. 26. 
    Di conseguenza, occorre sospendere il giudizio  e  rimettere  gli
atti alla Corte costituzionale affinche' si pronunci sulla questione.